In questo lungo anno che abbiamo alle spalle abbiamo tutti sperimentato la fatica della solitudine. La solitudine può far male anche sul piano fisico. Da questa considerazione scaturiscono le iniziative che in diverse aree del mondo hanno costruito presidi per fronteggiare il problema. La solitudine è spesso un’epidemia nascosta che può colpirci in momenti di fragilità, quando si cambiano le proprie abitudini, ci si trasferisce in una nuova città o si affronta una separazione. Sentirsi soli può aumentare le probabilità di ammalarsi e di ridurre la capacità di combattere le infezioni virali.
Le persone sole possono anche sovraccaricare il sistema sanitario, facendo più ricorso all’assistenza. La politica di tagli alle politiche assistenziali e della salute non producono più equità ma emarginazione. Il danno della solitudine è difficile da curare. La solitudine non è solo un problema per le persone anziane, ma anche per le giovani generazioni, che pur legate ai dispositivi multimediali, hanno una scarsa coesione emotiva.
E in Italia? Secondo Eurostat, un italiano su otto si sente solo perché non ha nessuno a cui chiedere aiuto, non ha un amico, né un familiare con cui sfogarsi. I dati si riferiscono al 2015: il 13,2% degli italiani sopra i 16 anni sostiene di non avere una persona a cui chiedere aiuto, l’11,9% non ha qualcuno con cui parlare dei propri problemi. Dunque, la solitudine non colpisce solo gli anziani, anzi nessuna età è immune ad essa. Una recente indagine sulla popolazione dai 16 anni in su dell’UE segnala che il 6% della popolazione dell’UE non ha nessuno a cui possa chiedere aiuto in caso di bisogno.
La solitudine sta rapidamente diventando uno dei problemi sociali più importanti e insidiosi. Le conseguenze sono pesantissime per il benessere psicofisico di chi ne soffre. È stato dimostrato che l’isolamento sociale ha un effetto dannoso alla salute quanto l’obesità e il fumo di 15 sigarette al giorno. La solitudine è infatti associata alla riduzione dell’aspettativa di vita, problemi cardiaci e demenza senile. Di solitudine, insomma, si muore.
Cambiamenti demografici, tecnologia, inurbamento, famiglie e comunità che si allontanano geograficamente ed emotivamente, sono tutti elementi che contribuiscono a rendere il problema dell’isolamento sociale sempre più diffuso. Nel Regno Unito oltre 1,2 milioni di persone soffre di solitudine cronica Nella fascia di età tra 18 e 34 anni si riscontra la quota più alta di chi dichiara di patire per un senso di isolamento.
Gli italiani avvertono sempre di più il peso della solitudine, un sentimento capace di depotenziare il capitale sociale. L’epidemia acuisce la sensazione di isolamento.
Dopo mesi di lockdown più o meno totale, di misure di distanziamento, di raccomandazioni a non frequentare troppe persone, a limitare gli spostamenti, a ridurre al minimo le occasioni di incontro, psicoterapeuti discutono le conseguenze della cosiddetta ‘Covid fatigue’ e del ribaltamento della vita quotidiana. Per mesi, gran parte delle persone non ha visto che i propri partner, forse qualche familiare più stretto, il resto è stato affidato a videochiamate e altri canali di comunicazione. Adesso uno studio del Massachusetts Institute of Technology di Boston spiega che l’isolamento e la solitudine provate in questi mesi condividono una base neurale col desiderio di cibo che proviamo quando abbiamo fame. Inoltre diverse ricerche hanno associato la solitudine a un maggior declino cognitivo e a un più rapido deterioramento dello stato di salute. Uno studio appena pubblicato su JNeurosci, mostra che la solitudine ‘altera’ il cervello, modificandone le connessioni e la rappresentazione delle relazioni.
Un lavoro, pubblicato nel 2017 sulla Psychological Science Agenda, ha mostrato che la solitudine è tipicamente associata a depressione, declino cognitivo e maggior rischio di insorgenza di demenza e ipotizzando che possa essere collegata a una disfunzione nei circuiti di ricompensa del cervello.